Rassegna - La quarta stanza. dialoghi sulla poesia contemporanea. Mattia Tarantino presenta i libri: "Se giuri sull'arca " - Fallone e "L'età dell'uva" - Giulio Perrone
Dialoghi sulla poesia contemporanea. Mattia Tarantino.
L'evento è a cura di Annalisa Di Domenico, Carlo Lucidi e Ilaria Giovinazzo.

Trama - Se giuri sull'arca:
Se giuri sull’arca di Mattia Tarantino è poemetto dal ritmo profetico, che sta sempre tra impostura e rivelazione. Ed è sulla profezia che la lingua si fa rarefatta ma necessaria; quasi lingua d’uccelli, d’avventori momentanei e casuali, di estinti fonemi riattivati; una nervatura passionale (quasi impensabile, laddove ogni passione pare ristretta e asciugata), esistenziale, che apporta al campo poetico l’impensabile della raffigurazione. Perché questa è poesia dell’irrappresentabile, dell’ingiudicabile condizione di essere prima o di essere dopo nel linguaggio. Tarantino, infatti, esiste come un’impalcatura a priori sul segreto generativo della poesia. La preveggenza del verso è sempre una coscienza di esso, il cui fine è un atto recitante senza freni. Siamo quasi al modo di Mallarmé che indìce un’algebra numerologica, cabalistica, alfabetica, riconoscendo alla testualità la sua preesistenza (al modo delle idee di Platone) e la sua posticipazione al modo del fatto, del fato, al modo tipografico. Nel punto liminare di ogni interpretazione possibile restano soltanto il presumibile, il terrore, il ritorno. [dalla prefazione di Michelangelo Zizzi]
Trama - L'età dell'uva:
L’età dell’uva è un libro sui morti. Sui morti che ci parlano, sui morti cui parliamo. Il tentativo di decifrare la lingua che parlano e dimenticano – la lingua che parlano appena ci dimenticano. Una lunghissima preghiera perché ci mostrino il solco che divide il loro mondo dal nostro e lo cancellino; lo tatuino, oppure, appena appena sulle labbra. Come un breviario laico, L’età dell’uva conserva e indaga i volti, i nomi e i gesti di chi, con gli occhi chiusi ormai per sempre, ancora e nonostante cammina in mezzo a noi. Un libro di memorie, uno strumento: ogni verso andrebbe recitato, sussurrando, prima di dormire – per vegliare e custodire, forse un po’ tremando, i morti nella voce e, a poco a poco, imparare a congedarli. A riconoscerli, oppure, per strada quando li chiamiamo e loro, sorridendo, si voltano una volta ancora: l’ultima, la prima.